Sull’origine del toponimo Ceriale sono state avanzate due ipotesi. La prima farebbe riferimento all’appellativo di due consoli dell’Impero romano – Onicius Cerialis e Quinto Petilio Cerialis – che avrebbero svolto la loro attività nella zona ingauna. La seconda troverebbe invece riscontro nel fiorente mercato dei cereali e alla presenza in loco di un reperto romano dedicato alla dea dell’agricoltura Cerere e ad una correlata festività, la “Cerialia”.
Ceriale, piccola Villa abitata da persone dedite prevalentemente all’attività agricola fu proprietà dei Vescovi – Conti di Albenga.
Il 26 febbraio 1225, a seguito di un patto stipulato fra il Podestà del Comune di Albenga Emanuele Doria e il vescovo Oberto, Ceriale entrò a far parte dei Borghi e delle Ville, inglobati nel contado di quella città. In quell’occasione ad Albenga fu riconosciuta anche l’alta giustizia su Ceriale.
Il Parlamento Centrale era residente ad Albenga e Ceriale, come gli altri Borghi e Ville, aveva una propria amministrazione con Sindaci (detti Consoli), Consiglieri, un Tesoriere e un Cancelliere con funzioni di Segretario, che di norma era un notaio retribuito; tutti questi addetti all’Amministrazione locale erano scelti all’interno della Comunità e avevano, pur dipendendo da Albenga, un separato sistema di conteggi amministrativi. I Consoli, in sostanza, corroboravano le richieste della Comunità presso il Parlamento di Albenga. La scelta degli uomini che avrebbero amministrato Ceriale avveniva ogni anno, estraendone sei dai nominativi formanti una lista di cittadini aventi un determinato censo, con almeno venticinque anni compiuti, non sotto patria potestà e residenti da un certo numero d’anni in paese. I primi due estratti svolgevano la funzione di Magnifici Consoli (o Magnifici Sindaci), gli altri quattro di Magnifici Agenti (o Magnifici Ufficiali). Ogni anno il Consiglio si rinnovava in quanto decadevano coloro che erano rimasti più a lungo in carica.
Il 2 luglio 1637 sulla comunità si abbatteva la tragedia del “sacco” operato dai corsari barbareschi che deportarono, secondo la “lista di quelli che l’anno 1637, 2 luglio furono fatti schiavi ne’ luoghi del Ceriale e Borghetto”, compilata dal Magistrato degli schiavi, 339 persone che furono trasportate all’isola di Tabarca e, in seguito, venduti in Algeria e Tunisia. – L’isola era stata ceduta da Carlo V ad Andrea Doria come compenso per il cambiamento di campo da lui operato. L’Ammiraglio la diede in appalto ai Lomellini, i quali ne fecero un centro di grande importanza per la pesca del corallo. La Repubblica manteneva a Tabarca un suo Governatore. – Da un documento, privo di data e collocazione, che si trova nel fondo dell’ASG, apprendiamo che “i sequestrati sono 337. Riscattati al compilamento della lista 94, da riscattare e dichiarati poveri dal magistrato 62, uno è riscattato dal signor Lomellini, morti in Algeri 47, uno nato morto, morto in Levante 1, morto in Tunisi 2, morti 6, morto in cattività 1, morto schiavo 1, morto per strada 1, morto in servitù 1, annegato 1. Dei rimanenti 118 non si hanno notizie”. I dati, riferiti a Ceriale parlano di 64 uomini, 125 donne, 94 fanciulli per un totale di 283 persone. A questi vanno aggiunti, secondo la lettera di Giovanni Rossano “14 archibugiati, otto nel campanile, in tutto n. 305, che sono la metà della mia Parrocchia, che piaccia a Nostro Signore dare a quelli costanza e pazienza nella Santa Fede, e a’ Defunti riposo…”.
A seguito del sacco, il paese sprofondò in una grave crisi economica e molte famiglie dei rapiti furono ridotte in miseria a causa del pagamento del riscatto. Le loro proprietà furono vendute e la comunità impose, con Statuti appositi approvati dal Governo Genovese, soprattasse locali.